“L’improvvisazione curativa la si attua quando il musicista diventa un canale e ogni nota prodotta è partorita nel momento stesso in cui viene concepita. Nulla è riconducibile ad alcuna melodia nota, ma ciò che ci viene offerto è una suggestiva serie di esplorazioni, di elaborazioni, in cui si è totalmente immersi e coinvolti in questo processo di creazione… La musicoterapia è un approccio terapeutico che usa i suoni per “arrivare” al paziente e renderlo a sua volta in grado di esprimersi, aprirsi e quindi essere parte attiva della terapia: il potere magico della musica, dunque, è rivolto al servizio dell’integrazione emotiva dei pazienti ed al trattamento di un ampio ventaglio di disabilità e di malattie”.
Rino Capitanata
Alcune domande dal giornalista musicale e musicologo Sergio d’Alesio al Compositore Capitanata
Attraverso trent’anni di carriera, l’artista si esprime in veste di compositore, performer e musicoterapeuta affiancando la sua attività artistica e il suo impegno professionale alla crescita e alla gestione della CapitanArt Music & Culture, una etichetta che, con il trascorrere delle stagioni, ha ampliato il suo catalogo esplorando ogni area musicale insieme ad altri grandi artisti.
Questa intervista face to face ripercorre le tappe più significative del suo far musica e, al contempo, è uno speciale approfondimento umano, sonoro e terapeutico delle sue qualità espressive che ne fanno un artista unico nel suo genere in Italia.
Sergio d’Alesio: Innanzitutto vorrei chiederle: quando arriva l’ispirazione e inizia a comporre, lei segue la linea, il filo portante dei suoni del tema prescelto senza pensare all’aspetto curativo e all’ accordatura a 432 Hz o le sue opere sono ormai un tutt’uno con la sfera emotiva e il trasporto individuale umano che vede la musica come uno strumento di guarigione?
Capitanata: Per comporre il tipo di musica di cui mi occupo è indispensabile acquisire e conquistarsi una scelta di vita ben precisa, costruita con estrema pazienza che alterna momenti di silenzio a profonde meditazioni e intime riflessioni, affiancate a chiare intenzioni di osservazione.
Questa ovviamente è la predisposizione caratteriale di base che poi si sposa con l’intuizione e la sensibilità individuale. In seguito però bisogna iniziare a capire come rapportarsi con l’ispirazione che non arriva sicuramente a comando e neanche provando e riprovando fino allo sfinimento un brano, riducendo la linea melodica e l’atmosfera ad una mera composizione sterile e mentale.
Per spiegarle il rapporto con la composizione le faccio un esempio: immagini di riordinare ogni giorno al meglio la casa per un ospite speciale che non sai quando arriva, ma di certo è ben gradito…
Quindi è l’attitudine di avere sempre tutto pronto (mi riferisco a come ti rapporti con la vita) per accogliere il momento speciale (ovvero l’ospite gradito) che arriva sempre con leggerezza al momento più opportuno, ma anche inatteso…
Nel mio lavoro, ci sono invece dei giorni che, proprio quando stai per andare via perché hai un appuntamento, come per incanto arriva senza preavviso la melodia giusta che poi svilupperai in un momento di quiete solitaria.
In questi momenti se li sai riconoscere, si diventa dei veri e propri “canali ricettivi”, dove si osserva con partecipazione a creazioni sonore in uno stato di estrema leggerezza incantata…
Quando sei in questo flusso, utilizzi le note che liberano le tue emozioni e tu ti ritrovi semplicemente trasognato nel seguirle, nell’assecondarle.
Queste melodie rinnovano i sensi, le emozioni e le sensazioni che si cristallizzano e trovano un loro codice espressivo chiaro, naturale e ben riconoscibile proprio attraverso le note e le pause che descrivono il momento del trasporto emotivo compositivo.
La composizione per essere funzionale deve parlare al cuore e far destare l’attenzione. Non deve mai essere prevedibile, ma rendere vivo l’entertainment perché, attraverso l’ascolto, abbiamo bisogno di esplorare sempre nuovi territori.
Lo stupore e l’incanto di questi momenti è indispensabile. A volte è il brano stesso ad indicare la direzione e qui l’esperienza interviene invitandoci a farci da parte…
Di sovente ai miei concerti accade che, dopo la performance, molte persone vengono a ringraziarmi perché attraverso la musica hanno liberato emozioni bloccate forse da anni. Altri con gli occhi lucidi dall’emozione giurano d’aver avuto visioni interiori rivelatorie e risposte importanti attraverso le sensazioni di apertura alla vita.
Per entrambi le parti – l’artista e il pubblico – il momento di silenzio che precede l’esibizione è la situazione clou del mio concerto da solista. È lì che accade qualcosa di misterioso e alchemico ed lì che ti rapporti con il tuo mondo compositivo cercando di percepire l’energia,
l’attesa e la partecipazione delle persone che in quell’istante di silenzio son presenti con te a creare un tutt’uno… Il resto del concerto viene poi da solo, quasi naturalmente. Mi fido dei messaggi che arrivano dall’interno del mio corpo, ma non saprei dire, in quegli istanti, perché suono proprio quelle melodie…
La mia ricerca spirituale trentennale ha influito moltissimo e credo sia percepibile anche dall’ascolto della mia musica. Direi, anzi, che è una parte inscindibile dei miei concerti e del mio far musica.
Suonare è un rituale comunitario che se vuoi può assurgere allo stato di una preghiera e si sviluppa quasi assecondando il silenzio di una preghiera.
Non parlo in termini di religioni, ma di spiritualità, del rivolgersi a un potere superiore, a un’entità suprema che ci connette al mondo così come alle nostre aspirazioni e realizzazioni interiori più profonde. L’arrivo di un’ispirazione compositiva quindi è veramente un evento prezioso.
Nel corso della storia, esistono tanti esempi di composizioni nate in pochi minuti che poi sono diventate dei bestseller amati da milioni di persone in tutto il mondo.
La citazione più eclatante, la prima che mi viene in mente, riguarda il giovane Paul McCartney che, una mattina molto presto del 1965, si alza, si siede al piano e in cinque minuti inaspettatamente compone Michelle uno dei brani più belli dei Beatles.
Secondo gli antichi greci, l’ispirazione era una irrazionale ed incomprensibile esplosione di creatività.
Nel mondo di oggi mancano orientamenti precisi e l’unica strada maestra sembra la tecnologia. C’è aridità e nessuno parla di temi profondi. I gusti cambiano con rapidità e le parole corrono troppo veloci.
Insomma la vita è troppo facile. Invece i vecchi maestri compositori rischiavano tutto per trovare nuovi linguaggi, per inventare pochi minuti di musica straordinaria. I giovani musicisti non capiscono questo insegnamento e invece di scavare nel profondo, restano in superficie, autolimitando la loro esperienza nel campo espressivo della musica.
Alla base di ogni composizione c’è chi sei tu realmente in rapporto con l’esistenza.
L’ accordatura a 432 Hz è solo l’aspetto finale, la ciliegina che poi fa sì che tutto diventi più funzionale. Ribadisco da anni a molti giovani compositori che non basta intonare una musica con l’ accordatura a 432 Hz.
Per essere funzionale serve tutto un bagaglio compositivo, pazientemente costruito come il cesello di un valente artigiano con anni di esperienza accompagnati da un innato talento naturale.